Copparo
4 Luglio 2016
Tra crollo della domanda mondiale e possibili joint venture con Tata Steel, il futuro dello stabilimento verrà deciso molto lontano da Copparo

Berco, l’età dell’incertezza

di Ruggero Veronese | 4 min

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berco-420x300Copparo. La crisi mondiale della metallurgia non accenna a placarsi e i colossi del settore corrono ai ripari. Colossi come la multinazionale tedesca ThyssenKrupp e l’indiana Tata Steel, sempre più vicini a un accordo per una joint venture che potrebbe coinvolgere buona parte degli stabilimenti europei.

Tra questi naturalmente è presente anche la fabbrica copparese della Berco, di proprietà Thyssen e reduce dalla dolorosa vertenza del 2013 che comportò una riduzione di 320 posti di lavoro. Da allora, complice anche l’intricata situazione dei mercati internazionali, l’azienda non è mai riuscita a centrare i target di fatturato annuali che si era di volta in volta prefissa. E sindacalisti come Samuele Lodi della Fiom non nascondono la propria preoccupazione per il nebuloso futuro dello stabilimento copparese.

“Anche se non abbiamo mai ricevuto comunicazioni ufficiali dell’azienda, da tempo sentiamo voci su un accordo tra Thyssen e Tata Steel – spiega Lodi -. Di fronte a questo genere di operazioni c’è sempre un po’ di preoccupazione, in particolare per quanto riguarda il livello occupazionale”.

Una preoccupazione dovuta anche alle recenti mosse in Europa di Tata Steel, che da fine marzo porta avanti un serrato braccio di ferro con i sindacati e il governo britannico dopo aver annunciato la chiusura dell’acciaieria di Port Talbot, in Galles, che dà lavoro a 5mila persone. Il governo inglese, in un disperato tentativo di scongiurare la chiusura del sito, è arrivato a offrire a Tata un prestito da almeno mezzo miliardo di sterline che consenta alla multinazionale di navigare oltre la bufera: solo a queste condizioni Tata sembra disposta a non disinvestire in Regno Unito.

Anche nel caso britannico, così come per Berco, a determinare il periodo nero della metallurgia è il drastico calo a livello mondiale della domanda. La Cina, che per quasi due decenni ha rappresentato la gallina dalle uova d’oro per gli esportatori di materie prime e componentistica, sotto il governo di Xi Jinping ha cominciato a cambiare volto e a puntare su un’economia meno manifatturiera e più concentrata su finanza e servizi. E il rallentamento nella crescita interna che oggi sta attraversando rischia di avere pesanti ripercussioni per migliaia di aziende mondiali, con un calo delle importazioni rispetto al 2014 che tocca percentuali anche del 25% (zinco) o del 33% (acciaio).

“La situazione del settore è molto preoccupante – conferma Lodi -: i mercati fondamentali, quello cinese e americano, sono in forte calo e nell’ultimo anno l’unica zona che ha visto un po’ di aumento della domanda, paradossalmente, è l’Europa. Ma parliamo di cifre troppo piccole per compensare il calo di Cina e America. Il settore minerario, che comportava investimenti importantissimi, oggi è praticamente sparito e questo avrà ripercussioni anche sul costo delle materie prime. Credo che l’intenzione di andare verso fusioni e joint venture sia dovuta anche a questo, al tentativo di creare grandi accorpamenti per poter condizionare i prezzi del mercato”.

Nel frattempo, a Copparo, Berco si appresta a chiudere un bilancio (l’anno fiscale per la tedesca ThyssenKrupp finisce tra settembre e ottobre) dal fatturato inferiore a quello del 2015, nonostante i tentativi di rilancio attuati negli ultimi anni: “Thyssen ha sempre messo a disposizione le risorse per la Berco – afferma Lodi – e dal 2014 sono stati fatti anche investimenti importanti, ma dopo la ristrutturazione non è più riuscita a performare come avrebbero voluto. Non mi stupirei se in questo periodo si tornasse a parlare di cessione, come già avvenne nel 2014”.

Fare ipotesi più precise, al momento, è davvero impossibile: troppi i fattori esterni che determinano la crisi del settore. Il sindaco Nicola Rossi, contattato da Estense.com, afferma che al momento “è prematuro fare ogni tipo di previsione”. Ma, se il caso di Port Talbot insegna qualcosa, è che in tempi molto brevi anche gli enti pubblici saranno chiamati a fare precise scelte di campo: supportare (anche finanziariamente) un settore in profonda crisi o aspettare (e sperare) che la domanda sui mercati torni a salire. Un dato, nel frattempo, è certo: da quando la nazione manifatturiera per definizione ha deciso di cambiare lavoro, per milioni di lavoratori sparsi nel mondo è cominciata l’era dell’incertezza

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